La sentenza sotto riportata è interessate perchè fa chiarezza su di un tema che crea a volte contrasti in tema di distanze legali. Ribadisce infatti che non sono computabili ai fini delle distanze le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacchè, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati. Sulla base di tale principio ha quindi confermato la sentenza che ordinava l’arretramento del manufatto.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23963/2014 proposto da:

Z.A., Z.S., Z.D., ZA.AL. e z.a. (anche quali eredi di B.L. e Za.Di.), rappresentati e difesi dall’Avvocato FEDERICA SCAFARELLI, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4;

– ricorrenti –

contro

Z.B. e Z.R., rappresentati e difesi dall’Avvocato NICOLA DI PIERRO ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 446/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/07/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Svolgimento del processo
Con atto di citazione datato 15.7.1999 Z.B. e Z.R. convenivano avanti al Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di San Donà di Piave, Z.A., Z.S., ZA.DI., Z.D., ZA.AL., z.a., B.L. ved. Z., al fine di sentir pronunciare la condanna degli stessi all’arretramento del corpo di fabbrica adibito a vano scale e costruito in violazione delle distanze legali di cui all’art. 873 c.c., nonchè all’eliminazione dai fondi di proprietà attorea delle condotte idriche ed elettriche sotterranee abusivamente costruite dagli stessi convenuti.

Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali contestavano nel merito le avverse deduzioni, osservando come il corpo di fabbrica adibito a vano scale fosse stato edificato con il pieno consenso degli attori e che, comunque, ai sensi dell’art. 905 c.c., per i balconi, o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, la distanza da rispettare è pari a un metro e mezzo da misurarsi tra il fondo e la linea esteriore di dette opere. In base alla considerazione che il manufatto sarebbe stato edificato nei primi mesi del 1979, i convenuti chiedevano, inoltre, in via riconvenzionale, dichiararsi l’intervenuta usucapione della servitù di mantenere il predetto manufatto alla distanza attuale dal confine. Quanto alle condotte idriche ed elettriche, i convenuti osservavano come le prime erano state posizionate oltre 30 anni prima, con conseguente costituzione di una servitù per usucapione, mentre con riguardo alle seconde evidenziavano come, nel mappale in oggetto, la fornitura avvenisse per collegamento aereo: in ogni caso, in via riconvenzionale, i resistenti chiedevano la condanna degli attori alla rimozione delle condotte idriche dagli stessi poste sui fondi dei convenuti e della rete frangivento esistente a confine tra i mappali di proprietà delle parti contendenti.

La causa era istruita in via orale e documentale, nonchè mediante l’espletamento di CTU. Con sentenza non definitiva del 24.6.2005, il Tribunale condannava i convenuti all’arretramento a distanza legale del vano fabbrica adibito a vano scala, rigettando sia la relativa domanda riconvenzionale sul punto avanzata dai convenuti, sia l’istanza da questi proposta e diretta ad ottenere la condanna degli attori all’eliminazione della rete frangivento; provvedendo nel contempo alla rimessione della causa in istruttoria onde verificare, con supplemento di CTU, l’esatta collocazione delle condotte idriche ed elettriche delle quali era stata chiesta reciprocamente la condanna all’asportazione.

Con la sentenza n. 88/2007, il Tribunale di Venezia, Sez. distaccata di San Donà di Piave, definitivamente pronunciando, rigettava le domande reciprocamente avanzate dalle parti volte ad ottenere la rimozione delle condutture idriche ed elettriche poste a servizio dei relativi immobili.

I soccombenti proponevano appello avverso la sentenza parziale e quella definitiva. Si costituivano gli appellati, chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 446/2014, depositata il 24.2.2014, la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello confermando le due sentenze e condannando gli appellanti, in solido tra loro, a rifondere agli appellati le spese del grado di appello.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione Z.A., Z.S., Z.D., Za.Al. e Z.a., anche quali eredi di B.L. e Za.Di., sulla base di due motivi; resistono Z.B. e Z.R. con controricorso.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, degli artt. 118 e 119 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, chiedendo la pronuncia di nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, in quanto la parte argomentativa ed il dispositivo sono stati redatti dal Presidente relatore interamente a penna, con una grafia incomprensibile, che determina la necessità di ricorrere a una lettura difficile e necessariamente interpretativa dell’atto in questione, con lesione del diritto di difesa per l’impossibilità di ricostruire e comprendere con la dovuta certezza le ragioni di fatto e di diritto che sorreggono l’atto.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Sebbene non del tutto agevolmente, la sentenza impugnata, scritta a mano dal relatore, risulta comunque leggibile nella stesura e comprensibile nei contenuti, così nelle motivazioni, come nel dispositivo. Non sussistono quindi gli evocati presupposti onde addivenire alla richiesta declaratoria di nullità della sentenza medesima per difetto di motivazione.

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 c.c. e ss., dell’art. 905 c.c., delle norme tecniche e del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, in quanto sulla base delle norme tecniche del Comune di Venezia, recepite dal Comune di (OMISSIS), il manufatto de quo avrebbe dovuto essere considerato un volume tecnico non urbanistico che, in base alle norme del predetto regolamento edilizio, è soggetto alle sole distanze previste dal codice civile. Il Comune, infatti, nell’ambito delle facoltà di disciplina del territorio attribuitegli, ha ritenuto che le costruzioni del tipo di quella per cui è causa (definite nel regolamento comunale come volumi tecnici), debbano essere soggette solo alle distanze previste dal codice civile e tale decisione deve essere ritenuta legittima, in quanto l’ente ha la facoltà ma non l’obbligo di stabilire limiti maggiori di quelli codicistici.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La Corte di merito ha, correttamente, escluso che (ferma restando la riserva alla legge dello Stato della definizione delle “costruzioni” al fine della applicazione del’art. 873 c.c.), il vano scale dell’immobile in questione non possa non essere considerato a tutti gli effetti una “costruzione”, come tale non rientrante nel concetto di sporto. Trattasi di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione – fondata sui richiamati esiti peritali, secondo i quali “trattasi di due rampe in muratura, di larghezza di mt 2,51 e lunghezza di mt 3,17 con all’interno la stanza di alloggiamento dell’impianto di riscaldamento; il tutto infisso, in modo stabile e permanente, al suolo e realizzante una superficie complessiva di mq 9,98 ed un volume di metri cubi 15,02” (sentenza impugnata, pag. 12) come tale immune dalle censure sollevate dai ricorrenti (Cass. n. 1916 del 2011), che sostanzialmente si limitano a contestare la qualificazione data dai giudici del merito al manufatto in esame.

2.3. – Va rilevato che risulta consolidato il principio per il quale, in tema di distanze legali fra edifici, non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacchè, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati. (Cass. n. 12964 del 2006). Pertanto, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione di rifinitura od accessoria (come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), costituiscono, invece, corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni (Cass. n. 17242 del 2010; Cass. n. 18282 del 2016).

Integra, dunque, la nozione di “volume tecnico”, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l’opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi – quali quelli connessi alla condotta idrica, termica – di una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali dell’abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa, e non anche quella che costituisce – come appunto il vano scale – parte integrante del fabbricato, ossia corpo di fabbrica. (Cass. n. 2566 del 2011; v. altresì Cass. n. 20886 del 2012).

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.