Dopo il rinvio al 01 settembre del prossimo anno dell’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi, si è molto parlato della possibilità che almeno la parte del sovraindebitamento potesse trovare applicazione anticipata, andandosi a sostituire all’attuale legge 3/2012, norma che non ha mai funzionato come sperato e che avrebbe bisogno di una revisione organica. Vista la gravità del momento che stiamo vivendo e le nuvole fosche che si profilano all’orizzonte, da più parti si sono quindi moltiplicati gli appelli di studiosi e associazioni di categoria, perché il complesso delle norme volto a fornire una possibile risposta alle situazioni di grave indebitamento che affliggono consumatori, privati e piccole aziende, faccia sentire subito i suoi effetti. Per far fronte a questa necessita il legislatore, tra le tante norme approvate in fretta e furia sotto Natale, ha convertito il dl 137/2020 che all’art. 4 ter ha modificato una parte rilevate della legge 3/2012, rendendola più simile al testo finale contenuto del codice. Anche se molti aspetti non hanno trovato spazio nel testo finale e rimane il carattere disorganico delle norme, l’approvazione presenta una passo avanti notevole, anche tenendo conto delle criticità evidenziate in questi anni dalla giurisprudenza di merito.

L’occasione è buona per rifare un breve riepilogo su cosa consista la legge sul sovraindebitamento, (quella che che all’inizio venne chiamata “salva suicidi”), e pertanto proverò a spiegarne, in modo semplice e a grandi linee,  l’utilità e l’importanza e anche perché ad oggi non sempre può essere possibile o conveniente accedervi. Non me ne vogliano i tecnici della materia che sicuramente troveranno troppo sbrigative queste brevi note. L’intenzione è soltanto quella di dare un’idea di massima e fornire qualche strumento di valutazione in modo anche da evitare di cadere nella mani di una delle miriadi di società o finte associazioni che, approfittando dello stato di bisogno e nascondendosi dietro la legge 3/2012, pubblicizzano sul web soluzioni miracolosi che in realtà sono principalmente la scusa per spillare soldi a chi è disperato e non vede altre soluzioni.

In linea di generale, la legge 3/2012 prevede all’art. 6  la possibilità per il debitore, che deve essere un soggetto non suscettibile di fallimento (consumatore, professionista, società cd “sotto soglia”, società agricola ecc.), di concludere un accordo con i creditori. Fino a qui niente di innovativo. Tutti i debitori prima o poi tentano di trovare un accordo con i creditori, spesso negoziando condizioni non realistiche o che non fanno altro che aggiunge debiti a debiti, aggravando soltanto la situazione. La portata innovativa di tale legge, che non fa altro che riprendere istituti che soprattutto nei paesi anglosassoni sono utilizzati da decenni, sta invece nel fatto che la proposta passa per la valutazione di un giudice il quale, in presenza di determinate condizioni,  può sostituirsi del tutto ai creditori come nel piano del consumatore, oppure può ugualmente rendere obbligatorio tale accordo quando ritiene che il dissenso del creditore sia immotivato, come avviene nell’accordo di composizione. Raggiunto il consenso sulla proposta, che può prevedere anche il pagamento ridotto e dilazionato dei propri debiti (compresa IVA, imposte, rate del muto, finanziamenti ecc.) e omologato dal giudice, questo diventa obbligatorio per tutti, con il risultato che durante il periodo concordato nessuna esecuzione potrà essere intentata dai creditori coinvolti, e una volta portata a termine la procedura e onorato l’accordo, questi non potranno più chiedere nulla, ottenendo la cd. “esdebitazione”.
Mentre nel piano del consumatore  e nell’accordo di composizione, l’effetto esdebitativo è automatico, nella liquidazione del patrimonio deve essere invece presentata una domanda al termine della procedura.

Riassumendo quindi, gli strumenti previsti dalla attuale legge 3 del 2012 sono tre: Il piano del consumatore, l’accordo di composizione e la liquidazione del patrimonio. Provo a spiegarli partendo da qualche caso pratico in cui molti si possono riconoscere. Alla fine alcune brevi considerazioni sui problemi che frenano l’applicazione della legge.

Partiamo dall’accordo di composizione.

Giovanni è un piccolo artigiano stimato nel proprio settore, con tre dipendenti. Nel 2010 due di questi si licenziano in maniera inaspettata, costringendolo a versare la liquidazione e lasciandolo per un lungo periodo senza forza lavoro specializzata. Oltre a questo, nel 2012 il cliente più importante, che garantiva una certa costanza nelle entrate, fallisce. E’ quindi costretto a ricorrere pesantemente al credito bancario e a contrarre diversi prestiti con le finanziarie. Per qualche tempo riesce a far fronte alle rate, ma con il tempo, la mancanza di liquidità conseguente all’alto indebitamento, gli impedisce di investire nella propria attività e si trova presto fuori mercato. Non potendo fare fronte ai pagamenti, subisce anche il  pignoramento da parte di un fornitore della propria abitazione. Con un debito complessivo di circa 110.000,00 euro, che nel tempo sta lievitando, decide di chiudere l’attività lasciando carta bianca ai creditori. Come andrà avanti questa storia è semplice immaginarlo. Giovanni perderà la propria abitazione, che tempo addietro era stata valutata 136.000,00 euro, che oggi, vista la svalutazione del mercato immobiliare, è invece stata stimata 75.000,00 e che all’asta sarà venduta a 40.000,00 con un ricavo netto per i creditori di € 27.000,00 detratte le spese. Visto il debito residuo non potrà più impegnarsi in una nuova attività imprenditoriale, alimentando così il settore del lavoro nero e privando il mercato di altri potenziali posti di lavoro che creerebbero ricchezza, e con il risultato che i creditori in ogni caso difficilmente vedranno un euro.

Cosa avrebbe potuto fare invece Giovanni? Avrebbe potuto proporre un accordo di composizione della crisi così come disciplinato dall’art. 10 e seguenti della legge 3/2012. In ipotesi, se avesse voluto evitare la vendita della casa, nel corso della procedura di pignoramento avrebbe potuto proporre un accordo mettendo sul piatto delle offerte, chiaramente con l’aiuto di un amico o di un parente,  la somma per riscattare la casa (non l’importo del pignoramento né quello di stima, ma il prezzo previsto dall’ultimo bando,  nel caso in questione ad es. 40.000 euro) e una somma mensile ricavata dalla nuova attività che pertanto potrà emergere dal sommerso. Tale somma andrebbe determinata accantonando dall’utile netto della nuova attività quanto serve per l’esistenza dignitosa della propria famiglia e per tutelare le esigenze educative e formative dei figli. Questo per 5 anni (in realtà non è prevista una durata prefissata, dipende molto dai casi). Una volta presentata la domanda unitamente alla relazione dell’OCC, organismo creato dalla legge 3/2012 che ha funzioni di controllo e consulenza, il giudice avrebbe bloccato tutte le esecuzioni e una volata ottenuto il voto favorevole del creditori rappresentanti il 60% dei  crediti e omologato l’accordo, nessuno avrebbe più potuto aggredirei i beni mobili e immobili ed i ricavi della nuova attività. Anche in mancanza del consenso, il giudice potrebbe omologare l’accordo se dovesse ritenere che in ogni caso la proposta è migliore rispetto alla liquidazione, cioè in questo caso rispetto al ricavato della vendita di casa.
In alternativa, se non avesse avuto le risorse per riscattare la casa, Giovanni avrebbe potuto mettere a disposizione il ricavato della vendita con il risultato che, una volta terminata la procedura, nessuno dei creditori coinvolti potrebbe pretendere null’altro, ottenendo così l’esdebitazione. L’accordo di composizione attualmente può essere proposto sia dall’imprenditore che dal consumatore, mentre con il nuovo codice, che ne cambia il nome in “concordato minore”, il consumatore ne sarà escluso.

Diversi sono i presupposti per il piano del consumatore.

Luigi è un operaio specializzato di 47 anni, con un buono stipendio ed un buon tenore di vita considerato che anche la moglie lavora come commessa in un bar. Ha qualche debito (l’auto, un piccolo finanziamento per ristrutturare il tetto, le carte di credito), ma nulla che non sia gestibile. Nel 2014 l’azienda dove lavora è costretta a chiudere e, terminati gli ammortizzatori sociali, vista anche l’età, ha difficoltà a trovare un lavoro che lo possa occupare stabilmente. Nel frattempo, per far fronte alla situazione di crisi, chiede altri prestiti a finanziarie che, chiudendo un occhio sulle possibilità di rimborso, li concedono senza molte domande. Quando la situazione economica diventa non più sopportabile ed i dissidi in famiglia si fanno sempre più forti, la moglie chiede la separazione e si trova quindi nella necessità di dover provvedere da solo alle necessità della vita, oltre a versare un assegno per la figlia. Quando dopo qualche tempo trova finalmente un piccolo lavoro stabile, lo stipendio, subito decurtato da una cessione del quinto e gravato dall’assegno di mantenimento per la figlia, venie aggredito dai creditori ed in pratica Luigi di si trova a dover vivere con poco più 500 euro al mese con cui deve pagare anche l’affitto. Anche qui gli epiloghi possono essere diversi, ma nessuno positivo. Luigi in questo caso, anche a causa della depressione,  decide di lasciare il lavoro e  vivere alla giornata, cessando del tutto di versare gli assegni e rimborsare le rate.

Ricorrendo alla legge 3/2012 Luigi, i cui debiti sono estranei all’attività imprenditoriale, avrebbe potuto  proporre un piano del consumatore, previsto dall’art. 12bis della legge 3/2012, offrendo ai creditori la parte del proprio stipendio che residua una volta accantonato quanto necessario per vivere dignitosamente. Questo per un periodo di tempo non prefissato dalla legge ma in genere non superiore a 5-7 anni, al termine dei quali, se ancora ci fossero dei debiti residui, questi si estinguerebbero (ottenendo la cd “esdebitazione”). Nel piano del consumatore i creditori  possono presentare osservazioni, ma a differenza dell’accordo, non hanno alcun diritto di voto, in quanto la decisione è lasciata alla valutazione del giudice che deve tener presente alcuni requisiti. Fra questi il più importante è quello della “meritevolezza”. Il giudice deve cioè analizzare le cause dell’indebitamente, valorizzando tutte le circostanze negative, non ultimo anche il fatto che i creditori, in gran parte finanziarie, hanno concesso il prestiti senza tenere conto del cd “merito creditizio”, approfittandosi dello stato di bisogno e sottovalutando colpevolmente la possibilità di rimborsare quanto erogato.

Diamo uno sguardo adesso alla liquidazione del patrimonio

Per parlare della liquidazione del patrimonio, partiamo da un esempio reale preso dalle cronache recenti.
C. è un noto personaggio dello spettacolo con un reddito netto dichiarato di circa 250.000 euro l’anno. A causa di un accertamento fiscale, nel 2015 vengono contestati mancati versamenti che portano ad una addebito di circa 2.230.000,00 euro. Oltre a questo, esistono vari prestiti e mutui che portano l’indebitamento complessivo ad oltre 2,5 milioni di euro. Inizia pertanto a subire il pignoramento dei compensi per la propria attività di testimonial per varie campagne pubblicitarie, accusando un danno economico e d’immagine notevole. Decide quindi di ricorrere alla liquidazione del patrimonio, mettendo a disposizione tutti i propri beni immobili (tre negozi in comunione con la sorella stimati complessivamente in € 240.000) e parte del proprio reddito, tenendo in ogni caso per sé, per le necessità della vita della propria famiglia, la somma di 50.000,00 euro l’anno. Questo per quattro anni.

Con la liquidazione del patrimonio, il debitore prende atto che non è possibile o in ogni caso è molto difficoltoso, trovare un accordo con i creditori e mette a disposizione tutti i suo beni che vengono posti in vendita da un liquidatore, trattenendo per sé e per la sua famiglia quello che serve per le esigenze di vita di tutto il nucleo familiare, lasciando ai creditori la parte residua. La procedura ha una durata di 4 anni, salvo prolungarsi nel caso in cui i beni, ad es. gli immobili, non siano stati venduti, e per questo periodo il debitore non può subire ulteriori aggressioni dei beni dai creditori. Le eventuali esecuzioni vengono sospese e prese in carico dal liquidatore. Al termine, l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti, non è automatica come per le altre procedure ma va chiesta esplicitamente al giudice, che la concederà tenendo conto del comportamento del debitore durante la procedura. Va in ogni caso sottolineato che, a differenza delle procedure esecutive ordinarie, durante tutta la liquidazione, il debitore avrà garantite le risorse economiche per poter soddisfare le esigenze di vita proprie e della famiglia. Nell’esempio quindi, C. si è messa a riparo per i prossimi anni da altre esecuzioni e ulteriori iniziative dell’Agenzia delle Entrate, e probabilmente ha risolto anche per il futuro i propri problemi con il fisco.

Al di del caso specifico, che vede in ballo cifre importanti che non riguardano la normalità dei casi, la liquidazione, che può essere chiesta sia dall’imprenditore che dal consumatore, può essere attivata per cifre anche relativamente modeste e addirittura quando non si abbia nulla da offrire (nella mini riforma di Natale è stata prevista esplicitamente la possibilità di liquidazione senza avere beni da offrire) ed in pratica probabilmente è la procedura attualmente più utilizzata in quanto ha requisiti di accesso meno stringenti portando, se ben gestita, alla cancellazione dei propri debiti. Questo aspetto la distingue in maniera definitiva dall’esecuzione immobiliare, dove invece il debitore, una volta perso l’immobile, si trova nuovamente a dover rispondere del debito residuo.

Dopo questi brevi cenni, proviamo ad esaminare perché la legge non è per tutti e perché occorre diffidare da chi sul web promette miracoli.
Letto quanto sopra si potrebbe pensare che la legge 3/2012 sia la soluzione ad ogni problema di indebitamento. Non è così. Le procedure dettate dalla legge sono sicuramente utili e in molti casi risolutive. L’entrata in vigore del nuovo codice poi, sicuramente amplierà la portata delle norme. Ad oggi però  bisogna tener conto di molti fattori che rendono complicata e difficilmente accessibile l’intera procedura.
La legge in primo luogo non è pensata per chi vuole fare il furbo. La partita va giocata a carte scoperte. Va presentata una situazione contabile chiara e completa, in modo da ricostruire la storia dei propri debiti, dei motivi dell’indebitamento, e verificare la cd. “meritevolezza”. Il debitore cioè, per accedere ai benefici, non deve aver determinato il sovraindebitamento con colpa (che con la mini riforma del dl 137/2020è diventata colpa grave), mala fede o frode. Quello della meritevolezza è uno degli elementi maggiormente problematici. La valutazione degli aspetti soggettivi è lasciata alla discrezionalità del giudice, con l’aggravante che l’attuale testo della legge, frutto di vari aggiustamenti che si sono sovrapposti nel tempo e di una tecnica nella stesura alquanto fumosa, è spesso contraddittorio e di difficile interpretazione. La carenza di punti fermi, porta a marcate divergenze di applicazione nella giurisprudenza dei vari giudici di merito. Domande che a Vicenza o Napoli Nord (solo per fare un esempio) sono valutate positivamente senza particolari problemi, nei nostri  tribunali trovano una serie di ostacoli che di fatto potrebbero renderle impraticabili. Il percorso ad ostacoli inizia poi a volte con lo stesso gestore (come dicevo la domanda va preparata con l’assistenza di un avvocato ma deve essere vagliata dall’OCC) che spesso ha un approccio troppo rigido, scambiando la contabilità della famiglia con quella di una Srl. Il debitore che si approccia alla procedura deve quindi mettersi a disposizione con molta pazienza ed apertura, pena l’abbandono della pratica alle prime difficoltà di comunicazione, come purtroppo avviene spesso.

Altro problema è dato dalla circostanza che le procedure previste dalla legge 3/2012 non sono gratuite e comportano un costo che, per quanto non altissimo, diventa spesso non sostenibile per chi già si trova in crisi. Questo aspetto potrebbe sembrare contraddittorio, ma è dato dalla struttura della legge stessa. I costi sono dati principalmente dalla necessità di dover ricorrere all’assistenza di un avvocato che faccia da guida durante la complessa procedura, e dal fatto che l’OCC, l’organismo che deve valutare e controllare la proposta, va pagato dal debitore. Anche queste spese possono però essere gestite in maniera da impattare il meno possibile. Per quanto riguarda l’avvocato è bene pretendere sempre un preventivo scritto che preveda anche i tempi e le modalità  di pagamento. Va poi tenuto presente che sia le spese dell’avvocato che quelle dell’OCC, rientrano tra i debiti che saranno pagati con il ricavato delle varie procedure e quindi in teoria non pesano in maniera diretta sulle tasche del debitore, ma andranno soltanto ad assottigliare la quota di ricavato da destinare agli altri creditori. È anche vero però che quasi tutti gli OCC prevedono da statuto che il debitore che presenta una domanda debba versare, previo preventivo, un anticipo su quella che si prevede sia il costo finale. Questo anticipo si aggira normalmente attorno al 20% del costo previsto e in molti casi, almeno per gli OCC degli Ordini degli avvocati che conosco, può essere rateizzato e spalmato nel tempo. Non è raro poi trovare gestori che, vista la situazione, rinuncino all’anticipo, prevedendo di pagarsi solo con il ricavato della procedura. Se trovate quindi sul web soggetti che chiedono anticipi spropositati o somme rilevanti solo per avviare la pratica, promettendo risultati garantiti, diffidate immediatamente e rivolgetevi altrove. Si tratta spesso (non sempre) di associazioni o enti nati per poter lucrare, senza molti scrupoli, sullo stato di bisogno e sull’angoscia che accompagna sempre chi è sommerso dai debiti e che non forniscono il supporto tecnico e umano necessario per poter affrontare la situazione di crisi.

Con l’approvazione della mini riforma di Natale, molti dubbi sono  stati chiariti e molte contraddizioni sanate. Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi poi sicuramente sarà ancora più agevole ricorre agli strumenti per la gestione del sovraindebitamento. È importate però essere consapevoli che già oggi la legge 3/2012 offre uno strumento utile per poter gestire e risolvere i problemi legati alla crisi economica che sta mordendo molte fasce sociali e che sempre di più farà sentire, nei prossimi tempi, i propri effetti.