Una delle tante conseguenze di questa pandemia è stata la sospensione delle procedure esecutive immobiliari che abbiano ad oggetto l’abitazione principale del debitore. Nel dettaglio l’art. 54 ter del dl 18/2020 stabilisce che  “Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”. La norma, che in un primo momento doveva avere una durata di sei mesi fino ad ottobre, è stata poi prorogata fino al 31 dicembre 2020 e poi successivamente fino al 30 giugno 2021. Se già la prima proroga di sei mesi aveva creato non poche perplessità tra i giuristi, le successive proroghe, che hanno portato ad oltre un anno la sospensione, sono state considerate da molti un’anomalia ingiustificata e ingiustificabile. Stanno quindi arrivando ora i primi provvedimenti dei tribunali di merito che sollevano espressamente la questione di legittimità costituzionale rimettendola alla Consulta. In particolare il Tribunale di Barcellona P.G. ha argomentato che la norma opera una forte compressione dei diritti del creditore procedente che non risulta in realtà collegata ad esigenze sanitarie, che potrebbero essere tutelate agevolmente con altri mezzi, non operando alcuna distinzione tra pignoramenti anteriori o successivi allo stato di emergenza, e sembra in realtà guidata da logiche assistenzialistiche le sui conseguenze vengono fatte ricadere sui privati (come del resto la sospensione degli sfratti). Aggiunge poi il Giudice che “l’intervento normativo colpisce indistintamente tutti i creditori, a prescindere dalla relativa fascia di reddito, e dunque finanche coloro che magari l’abitazione principale neanche se la possono permettere e che per i quali il mancato (o anche solo ritardato) recupero coattivo del credito possa essere fonte di pregiudizi non meno rilevanti rispetto a quello subito dall’esecutato che con il suo inadempimento ha provocato l’altrui legittima richiesta di tutela esecutiva al potere statuale“.
A questa pronuncia è seguita quella del Tribunale di Rovigo che ha evidenziato profili di incostituzionalità nel fatto che la norma mina la certezza e la speditezza delle procedure di recupero credito e anche i diritti degli aggiudicatari che non possono entrare in possesso del bene aggiudicato.

E’ molto probabile che la questione non verrà esaminata prima della scadenza della proroga. Queste pronunce però possono avere l’effetto “deterrente” per il legislatore, qualora fosse tentato da ulteriori proroghe.