Succede spesso nell’attività di recupero crediti di doversi trovare nella necessità, non avendo il debitore altre beni, di procedere ad un pignoramento immobiliare. Molte volte l’immobile però, risulta cointestato al coniuge in comunione legale dei beni e quindi ci si chiede quale sia la procedura da seguire e quale sia la sorte della quota del coniuge non debitore. Per i beni in comunione ordinaria infatti il codice prevede un procedimento apposito (599 e seguenti cpc) volto alla  divisione e alla separazione della quota del contitolare. Non però nella comunione legale che secondo la giurisprudenza ormai pacifica viene considerata come “senza quote”: ciò significa che i coniugi non sono proprietari “idealmente” di una quota del bene aggredito, ma sono contitolari dei beni comuni nella loro interezza. Ribadendo questo principio Cass. 6230/2016 ha stabilito il principio per cui il creditore può pignorare e procedere alla vendita forzosa dell’intero immobile in comunione senza necessità di “staccare” alcuna quota. Al coniuge non debitore, spetta però la metà del ricavato dalla vendita. Questo il principio contenuto nella sentenza: “Per il debito di uno dei coniugi, correttamente è sottoposto a pignoramento l’intero bene, pure se in parte compreso nella comunione legale con l’altro coniuge, con conseguente esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti tutti della procedura, fino all’aggiudicazione ed al trasferimento di quello in favore di terzi compresi, nonché con esclusione della fondatezza della pretesa del debitore esecutato e dell’opponente originaria non solo di caducare tali atti, ma pure di separare di quel bene parti o quote o di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l’intero, salva la corresponsione al coniuge non debitore, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo di essa, dovuta in dipendenza dello scioglimento, avutosi sia pure in via eccezionale limitatamente a quel bene, ma per esigenze di giustizia ed all’atto del decreto di trasferimento, della comunione legale in parola“.

Cassazione 6230/2016 del 31/03/2016