A risarcire il danno per la violazione della privacy del proprio correntista è la stessa banca nonostante la condotta illecita sia stata posta da un suo dipendente. Se il dipendente, addetto allo sportello della banca, fornisce informazioni riservate sulle disponibilità economiche di un correntista al rispettivo creditore, a risarcire è anche lo stesso istituto di credito. L’ammonimento viene da una sentenza della Cassazione di poche ore fa [1] con cui è stata condannata una banca per la condotta del funzionario che aveva spiato il conto di un cliente per poi riferirlo all’ex coniuge, intenzionata ad agire contro di lui nella causa di separazione. La parte lesa può rivolgersi anche al Garante della Privacy, che in prima battuta, commina la sanzione alla banca per l’illecito trattamento dei dati. In sede, poi, di giudizio innanzi al tribunale per ottenere il risarcimento dei danni (anche non patrimoniali), al cliente basta dimostrare che l’accesso ai suoi dati personali è avvenuto senza apposita autorizzazione. Per giustificarsi e dimostrare la propria non colpevolezza, l’istituto di credito dovrebbe provare che la comunicazione delle informazioni top secret era stata autorizzata, previamente, dal cliente al momento di sottoscrizione del contratto. Non è sufficiente un consenso puntuale e specifico per autorizzare la banca a qualsiasi forma di trattamento dei dati. Al contrario la liberatoria deve essere specifica, trattandosi di dati delicati e sensibili. Una generica liberatoria del cliente non autorizza affatto la banca al trattamento di dati personali che vanno oltre la verifica dell’andamento del rapporto di credito, e dunque al di fuori del contratto che lega le parti, per fini del tutto estranei a quest’ultimo. In ogni caso, sarà sempre bene controllare con attenzione tutte le caselle che si sbarrano quando si accetta un contratto e verificare che, tra queste, non vi sia una autorizzazione “ad hoc” a comunicare i dati del conto a terzi.Vuoi restare aggiornato su questo argomento?Segui la nostra redazione anche su Facebook, Google + e Twitter. Iscriviti alla newsletterLA SENTENZALA MASSIMANel giudizio di opposizione proposto ex art. 151 d.lgs n.196 del 2003 avverso provvedimento dell’Autorità garante adita su ricorso proposto ex art. 145, la predetta Autorità assume la medesima posizione processuale delle parti private. Qualora abbia accolto il ricorso dell’interessato e sia convenuta dal titolare del trattamento soggiace al regime dell’onere della prova desumibile dall’articolo 15 del decreto legislativo 196/03. È pertanto sufficiente, qualora la titolarità del trattamento derivi da un rapporto contrattuale, che venga dimostrato l’accesso ai dati privo di specifica autorizzazione preventiva, mentre spetta al titolare del trattamento provare che l’accesso ed il trattamento contestati siano riconducibili alle finalità per le quali è stato prestato dall’interessato il consenso al trattamento nell’ambito del rapporto negoziale.[1] Cass. sent. n. 20106/15 del 7.10.2015.
Source: Se la banca dà informazioni sul conto del cliente al creditore