Succede spesso, specialmente nelle separazioni più contrastate, che un coniuge si rifiuti di consegnare bendi appartenenti all’altro, adducendo magari motivi sentimentali. Tale comportamento è sicuramente illecito e comporta una condanna per appropriazione indebita.

 

Cassazione Penale Sent. Sez. 2 Num. 52598 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: MONACO MARCO MARIA
Data Udienza: 28/09/2018

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
XXXXXX DANIELA nato a ORIA il 21/10/1971
avverso la sentenza del 17/05/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO
che ha concluso per l’inammissibilità
udito il difensore della parte civile, avv. GIUSEPPE POMARICO, che deposita
conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione ed il difensore
dell’imputata, avv. RAFFAELE PESCE, che si riporta ai motivi e ne chiede
l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
La CORTE d’APPELLO di LECCE, con sentenza del 17/5/2017, in parziale
riforma della sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di BRINDISI il 30/6/2014,
concedeva i benefici della sospensione condizionale della pena e della non
menzione nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta dei privati e
confermava nel resto la condanna nei confronti di XXXX DANIELA per il
reato di cui all’art. 646 cod. pen.
1. Daniela XXXXXè imputata perché, avendone la disponibilità, si
sarebbe appropriata di alcuni beni di proprietà di Pietro XXXXXXXX, coniuge
separato, rifiutandone la restituzione.
All’esito del processo di primo grado la XXXXXXveniva condannata ed
avverso la sentenza il difensore della stessa presentava appello chiedendo
l’assoluzione perché il fatto non sussiste e, in ogni caso la rideterminazione della
pena, anche previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte d’Appello, concessi i benefici di legge, confermava nel resto la
pronuncia del Tribunale.
2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato che, a mezzo del
difensore, deduce il seguente motivo.
2.1. “Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione,
risultante dal testo del provvedimento impugnato, in relazione alla richiesta
difensiva di assoluzione perché il fatto non sussiste”. La difesa rileva in prima
battuta che la querela, sporta a quasi due anni dal provvedimento di separazione
che autorizzava il Salinari a prendere i propri beni personali, sarebbe tardiva.
Sotto altro profilo, anche in considerazione del tempo trascorso, non sarebbe
configurabile il reato contestato e la motivazione del provvedimento sul punto,
specificamente dedotto con l’atto di appello, sarebbe del tutto carente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Le osservazioni circa la tardività della querela sono del tutto destituite di
fondamento. Come evidenziato dai giudici di merito, infatti, l’interversione del
possesso si è determinata, come di fatto confermato dalla stessa imputata, solo
nel momento in cui la persona offesa ha comunicato che avrebbe ritirato i beni
custoditi in un locale nella disponibilità della Caniglia, locale che la stessa ha
confermato di aver “svuotato” proprio per impedire al coniuge separato di
tornare in possesso dei propri beni.
Le generiche doglianze circa la logicità e la completezza della motivazione
della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale sono manifestamente
infondate.
La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di
primo grado, ha infatti fornito congrua risposta alle generiche critiche contenute

nell’atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun
modo coerenti con quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal
senso formulati sono inammissibili, sovrapporre la propria valutazione a quella
compiuta dai giudici di merito.
Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di
verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di
essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se
abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una
compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da
ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204,
del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507).
Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla
sostanziale credibilità della persona offesa (le cui dichiarazioni sono state
confermate anche da un testimone e dalle stesse parziali ammissioni
dell’imputata) ogni ulteriore critica risulta del tutto inconferente (“esula dai
poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del
provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è
riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di
legittimità solo la verifica dell’iter” argomentativo di tale giudice, accertando se
quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno
condotto ad emettere la decisione”, in questo senso da ultimo Sez. 2, n. 7986
del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si
ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute in questo
grado dalla parte civile Salinari Pietro, che liquida in euro 3510 oltre spese

generali nella misura del 15% C.P.A. ed I.V.A., disponendone il pagamento a
favore dello Stato.
Così deciso il 28/09/2018