Torniamo brevemente sul tema dell’abitabilità per esaminare un caso sottoposto alla valutazione della Cassazione. Il proprietario di un immobile commerciale, intenta nel 2007 un procedimento di sfratto per morosità nei confronti del conduttore, il quale si oppone però eccependo la mancanza nell’immobile del certificato di abitabilità (ottenuto solo successivamente) e la conseguente nullità ab origine del contratto.
Il Tribunale prima e la Corte d’Appello di Roma poi, rigettano l’opposizione e la questione giunge pertanto dinanzi alla Suprema Corte la quale, con ordinanza 15378/2018 rigetta il ricorso e conferma la sentenza dei giudici di merito. Secondo la Cassazione infatti “Il criterio rilevante sulla base dell’evoluzione della giurisprudenza è dunque non la mancanza della certificazione ma l’assoluta inidoneità del bene locato a poterla ottenereil Criterio infatti da seguire è quello dell’art. 1578 cc secondo il quale “Se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili.” Non può essere quindi invocata la disciplina dell’errore ex art. 1429 n. 2 cc (errore essenziale) in quanto l’idoneità dell’immobile all’utilizzo per cui è stato locato non può essere esaminata in astratto ma va valutata in concreto.