Dopo aver fatto nel precedente articolo una breve introduzione sulla legge 3/2012 sul sovraindebitamento, entriamo un po’ più nel dettaglio facendo qualche esempio. Partiamo dall’accordo di composizione.

Giovanni è un piccolo artigiano stimato nel proprio settore, con tre dipendenti. Nel 2010 due di questi si licenziano in maniera inaspettata, costringendolo a versare la liquidazione e lasciandolo per un lungo periodo senza forza lavoro specializzata. Oltre a questo, nel 2012 il cliente più importante, che garantiva una certa costanza nelle entrate, fallisce. E’ quindi costretto a ricorrere pesantemente al credito bancario e a contrarre diversi prestiti con le finanziarie. Per qualche tempo riesce a far fronte alle rate, ma con il tempo, la mancanza di liquidità conseguente all’alto indebitamento, gli impedisce di investire nella propria attività e si trova presto fuori mercato. Non potendo fare fronte ai pagamenti, subisce anche il  pignoramento da parte di un fornitore della propria abitazione. Con un debito complessivo di circa 110.000,00 euro, che nel tempo sta lievitando, decide di chiudere l’attività lasciando carta bianca ai creditori. Come andrà avanti questa storia è semplice immaginarlo. Giovanni perderà la propria abitazione, che tempo addietro era stata valutata 136.000,00 euro, che oggi, vista la svalutazione del mercato immobiliare, è invece stata stimata 75.000,00 e che all’asta sarà venduta a 40.000,00 con un ricavo netto per i creditori di € 27.000,00 detratte le spese. Visto il debito residuo non potrà più impegnarsi in una nuova attività imprenditoriale, alimentando così il settore del lavoro nero e privando il mercato di altri potenziali posti di lavoro che creerebbero ricchezza, e con il risultato che i creditori in ogni caso difficilmente vedranno un euro.

Cosa avrebbe potuto fare invece Giovanni? Avrebbe potuto proporre un accordo di composizione della crisi così come disciplinato dall’art. 10 e seguenti della legge 3/2012. In ipotesi, se avesse voluto evitare la vendita della casa, nel corso della procedura di pignoramento avrebbe potuto proporre un accordo mettendo sul piatto delle offerte, chiaramente con l’aiuto di un amico o di un parente,  la somma per riscattare la casa (non l’importo del pignoramento né quello di stima, ma il prezzo previsto dall’ultimo bando,  nel caso in questione ad ex. 40.000 euro) e una somma mensile ricavata dalla nuova attività che pertanto potrà emergere dal sommerso. Tale somma andrebbe determinata accantonando dall’utile netto della nuova attività, quanto serve per l’esistenza dignitosa della propria famiglia e per tutelare le esigenze educative e formative dei figli. Questo per 5 anni (in realtà non è prevista una durata prefissata, dipende molto dai casi). Una volta presentata la domanda unitamente alla relazione dell’OCC, organismo creato dalla legge 3/2012 che ha funzioni di controllo e consulenza, il giudice avrebbe bloccato tutte le esecuzioni e una volata ottenuto il voto favorevole del creditori rappresentanti il 60% dei  crediti e omologato l’accordo, nessuno avrebbe più potuto aggredirei i beni mobili e immobili ed i ricavi della nuova attività. Anche in mancanza del consenso, il giudice potrebbe omologare l’accordo se dovesse ritenere che in ogni caso la proposta è migliore rispetto alla liquidazione, cioè in questo caso rispetto al ricavato della vendita di casa.
In alternativa, se non avesse avuto le risorse per riscattare la casa, Giovanni avrebbe potuto mettere a disposizione il ricavato della vendita con il risultato che, una volta terminata la procedura, nessuno dei creditori coinvolti potrebbe pretendere null’altro, ottenendo così l’esdebitazione. L’accordo di composizione attualmente può essere proposto sia dall’imprenditore che dal consumatore, mentre con il nuovo codice, che ne cambia il nome in “concordato minore”, il consumatore ne sarà escluso.
Diversi sono i presupposti per il piano del consumatore.

(continua…)