Uno dei fattori che spesso frena il ricorso alla procedure di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, è il costo che il debitore, già economicamente provato, deve affrontare. E’ vero che gran parte dei costi per l’accesso e per la predisposizione della domanda vengono trattati in prededuzione (vengono pagate cioè con la liquidazione dei beni o con le risorse previste dal piano) ma al momento della presentazione della domanda tutti gli OCC prevedono da regolamento il versamento di un anticipo che varia dal 20 al 30% rispetto al compenso previsto per l’intera prestazione. E’ anche vero che gli stessi OCC, per agevolare il debitore, accordano versamenti ridotti o dilazionati, ma può succedere a volte che si creino delle rigidità che bloccano la procedura. Che fare in questi casi? Se ne è occupata la Cassazione con una ordinanza (Cass. 34105/2019 del 19/12/2019) che ha affrontato in maniera compiuta il problema. Nel caso di specie una Snc in liquidazione ed i due soci avevano presentato autonome domande di liquidazione all’OCC di Urbino, che aveva chiesto il versamento a titolo di fondo spese della somma di € 4.000,00 per ciascuna procedura. Gli istanti avevano quindi presentato domanda di riduzione e rateizzazione di tali somma, ma il Tribunale, su indicazione dell’OCC stesso, aveva rigettato tale istanza, di fatto negando così l’accesso alla procedura.
La Suprema Corte, pur rigettando il ricorso per motivi procedurali, è entrata nel vivo della questione, stabilendo che la richiesta di fondo spese  è illegittima. Osserva infatti la Corte che nel testo della legge 3/2012 e nei lavori preparatori  non è riportata la norma prevista per il concordato che prevede il versamento di una somma come anticipo sule spese di procedura e pertanto conclude che “…l’imposizione di oneri che pongono una condizione di accesso non espressamente prevista dalla legge, incide sul diritto del debitore di avvalersi delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, senza che ciò sia adeguatamente giustificato dall’esigenza di tutelare il diritto al compenso dell’organismo, sia perché esso ha pacificamente natura prededucibile, sia perché la stessa legge n. 3 del 2012 contempla meccanismi di garanzia, come l’art. 8, comma 2, in base al quale nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità. Pertanto, solo una volta verificata, in concreto, l’assenza di qualsivoglia attivo sufficiente a sostenere compensi e spese dell’organismo di composizione della crisi, il tribunale potrebbe motivatamente assumere un provvedimento di inammissibilità della procedura“. Tale conclusione è coerente anche con le direttive Europee che impongono la massima diffusione di tali procedure.

Cass. 34105/2019